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Un’intervista per conoscere totalmente Iggy Azalea, dall’infanzia in Australia al boom americano
Dopo un boom inimmaginabile che l’ha fatta passare da newbie sconosciuta a rivale numero 1 di Nicki Minaj, Iggy Azalea ha subito un pesante tracollo, tra accuse di razzismo, e appropriazione della cultura musicale black, faide, problemi con la label e molto altro.
Un tour cancellato, un album, Digital Distortion, che non ha mai visto la luce, brani leakkati e tante altre sciagure che però non hanno abbattuto la rapper, che sta provando a ritrovare la retta via nell’attesa di pubblicare (finalmente) il suo secondo album, Surviving the Summer.
L’intervista concessa a Paper Magazine permette di conoscere il percorso che ha portato l’australiana Amethyst Amelia Kelly a diventare la rapper Iggy Azalea, all’apparenza dura e fredda ma in realtà tanto fragile e con un passato tosto. Tanti aneddoti della sua vita e rivelazioni che forse faranno riflettere anche i suoi più grandi detrattori.
A seguire vi riportiamo alcuni estratti, QUI potete leggere la versione integrale:
Non conosco l’Australia, non ci sono mai stato, ma c’è il classico stereotipo dell’australiano abbronzato, atletico e bianco. Per esempio, l’archetipo della bionda popolare…tu eri alta, pallida e curvy…
Oddio sì! Non sono mai stata quella ragazza. Nemmeno lontanamente. Non mi ci sono mai sentita e c’è stata una volta in cui ci ho davvero provato. Mi ricordo una volta che venni presa in giro perché non ancora iniziato a depilarmi le gambe. Ero in prima media e non avevo mai nemmeno pensato ad una cosa del genere. Mi avrebbero chiamata scimmia ogni giorno, così un giorno ho preso il rasoio di mia mamma, mi sono depilata pensando che avrebbero smesso ma non fu così. C’era sempre qualcos’altro. Il mio cappello, il mio neo, il mio peso. Tutte queste cose ora sembrano così stupide ma io non avevo mai fatto niente di simile.
Quando hai pensato la prima volta di andartene dall’Australia?
Ho sempre saputo che me ne sarei andata perché non appartenevo a nessuna delle persone con cui vivevo lì. Ho deciso che sarei andata in America quando ho visitato gli USA con i miei genitori per la prima volta, avevo 11 anni e mi ricordo le scolarette a Las Vegas, con tutti i brillantini e luccichii. Erano le bambine più favolose che avessi mai visto. Poi siamo andati ad Hollywood e c’erano tutti quei negozi di parrucche e la Walk Of Fame, e appena ho visto tutta quella gente vestita in modo diverso, come avevano i capelli, i colori delle parrucche, ho capito che volevo poter fare tutte quelle cose.
Quando hai iniziato a mettere in atto il tuo piano?
Quando ho iniziato a fare musica…circa 14 anni…volevo vivere in un posto dove il limite era il cielo, un posto dove i miei sogni non erano strani o pazzi, dove gli altri hanno idee più pazze delle mie. Sapevo che tutto ciò era in America.
C’è questa idea che hai fatto Fancy e subito boom, successo immediato! Ma ce stata molta gavetta…
Ovviamente ci sono stati anni di cui la gente non sa nulla. Sono stata ad Atlanta per circa due anni a scrivere per altri. Ho fatto così tante cose per altri artisti conosciuti, per provare semplicemente a guadagnarmi il mio spazio. E’ per questo che molte demo sono uscite. Tutti mi accusano di voler diventare una pop star ma quella non è mai stata una cosa a cui ero interessata. Scriverei musica pop con altra gente e proverei a piazzarla, ma io ho sempre rappato. Anche nei video che sono usciti dove canto canzoni pop, quelle sono cose che ho fatto con i miei amici per gioco.
Quando Fancy ha avuto visibilità i media sembravano amarti. Billboard disse che pareggiasti i Beatles e battesti Michael Jackson. Forbes ti incoronò Regina dell’Hip-Hop. Cosa pensavi a quel tempo?
Era molto strano. Non ho mai detto di essere la regina del rap, non l’ho mai nemmeno pensato. Pensavo davvero che fosse una grande speranza essendo bianca, simile al film Rocky… ma era tutto così prematuro. Avevo appena iniziato e mi sentivo dire regina del rap, regina del mondo, miglior singolo di sempre, canzone del secolo. Quindi tutti hanno iniziato a dire: “No, non lo è, fanc*lo!”. Tutte quelle cose sono cose che io non ho mai detto!
Qual è il tuo più grande rimpianto di quel periodo?
Vorrei aver raccolto le critiche in maniera migliore all’inizio. Sapevo di dividere il pubblico, puntavo ad attirare l’attenzione, ma a volte la cosa è andata oltre.
Puoi dirmi qualcosa della nuova era?
Rilasciare Savior è stato estremamente terapeutico per me. Mi ha fatto bene avere un singolo dove parlo di depressione, ho mostrato tutte le mie carte. E’ completamente diverso dalla maggior parte delle altre tracce del disco, che sono profondamente rap.