Nonostante non abbia mai ottenuto successo a livello mainstream, la cantante americana Santigold è un vero fiore all’occhiello per gli amanti della musica di una certa fattura, che non segue le mode e sa esprimere se stessa senza troppi artifici. L’artista è tornata in scena il mese scorso con il suo terzo album “99 Cent”, disco anticipato a ben 4 singoli (Can’t Get Enough of Myself, Who Be Lovin Me, Charmin Shadows e Banshee), e nonostante i risultati commerciali molto bassi l’album ha ottenuto il favore di tutti i critici.
Ascoltando il progetto noi ci ritroviamo ad assere completamente d’accordo con i critici che hanno giudicato finora l’album. Dalle tracce contenute in questo disco emerge uno stile forte, deciso e personale, una capacità dell’artista di mantenere saldo il controllo della situazione anche quando deve confrontarsi con le basi più caotiche ed un modo assolutamente meraviglioso di utilizzare la voce, fra continui richiami a vocalità d’altri tempi ed una timbrica particolare che dà un’impronta unica a ciascuna traccia,
I ritmi sono incalzanti e d’impatto, ma non hanno nulla a che vedere con quello che gira in radio ultimamente. Possiamo avere a che fare con up tempo stratosferiche come con brani più calmi, ma quello che emerge è sempre un beat particolare, da cui trasuda tutta la personalità di quest’artista, una delle poche “vere alternative” in un mercato musicale odierno in cui un sacco di popstar scialbe e banali provano a far finta di possedere uno stile particolare per poi rilasciare lavori mediocri.
Il fatto che lo stile dell’artista sia tangibile in ogni traccia non vuole dire che l’album sia monotematico o che le canzoni siano tutte copie conformi l’una dell’altra: ad esempio, quando si arriva alla canzone numero 5 “Walking in a Circle” ci si ritrova davanti ad un brano urban ed evocativo molto diverso da quelli che l’hanno preceduto, ma che conserva le particolarità tipiche dello stile di questa interprete. A questo punto il progetto prende una piega più propriamente urban, ma ancora particolare e per nulla convenzionale. Alla fine torneremo invece a ritmi simili a quelli con cui abbiamo iniziato, senza rinunciare nemmeno ad elementi presi in prestito da altri universi artistici, come le chitarre elettriche in pieno stile rock di “Outside the War”.
Sicuramente, questo non è un album per tutti. Ritmi così particolari non lo rendono scorrevole per chi è abituato a musica lineare e convenzionalmente pop, ma nemmeno per chi esalta lavori prodotti malissimo come “perle di musica alternativa”. Volete capire cosa significa fare musica alternativa e buona nel contempo? Molto bene, questo è il disco che fa per voi.