Di tanto in tanto, mi capita di andare su Twitter, l’unico social network che ancora sopporto, e di scorrere un po’ di tweet. Spesso, per mia scelta, sono tweet nonsense che mi strappano il sorriso, qualche volta mi capita di trovare qualche notizia interessante e raramente qualche spunto di riflessione. L’altra mattina ho trovato proprio un tweet appartenente a quest’ultima categoria. Il rapper Chance The Rapper ha tweettato questo messaggio di una madre preoccupata per le condizioni del figlio:
pic.twitter.com/4AhZluasCJ
— Chance The Rapper (@chancetherapper) 18 Agosto 2015
Tradotto, il messaggio dice: “Sono la mamma di Tariq. Ho quasi perso mio figlio a causa dello Xanax. So che dà assuefazione, ma è pericoloso per la vita. Ragazzi, dovete smetterla. Starà bene, ma mi ucciderà anche quando vedrà questo [tweet]. Per favore pregate per lui e da voi rapper ho bisogno che VI FERMIATE DI RAPPARE SULLO XANAX“.
Il rap non è nuovo a critiche: ci sono testi omofobi, testi misogini, auto-celebrazione, celebrazione del denaro, esaltazione della violenza con armi, dell’abuso di alcool e droghe e vanteria sull’avere sempre nuove donne, spesso chiamate “puttane“, negli slang più disparati.
Vero, i testi controversi esistono in tutti i generi musicali. Anzi, se proprio volessimo andare indietro nella storia musicale, il rock ha iniziato con l’esaltazione dell’uso di droghe e acidi nella seconda metà degli anni ’60, con la fase che chiamata “psichedelica”. La lunga storia, o relazione, del rock e dell’abuso di sostanze stupefacenti è continuata quasi ininterrotta fino ad oggi. Con una differenza: i cantanti rock hanno abusato delle droghe per scrivere storie, i rapper esaltano l’uso delle droghe per sembrare cool e divertirsi. E ci sono artisti, poi, che basano tutta la loro carriera sul consumo di droghe e pillole, qualcuno dei quali si è infine pentito.
Ma ritorno al rap, campo in cui sono più aggiornato. Sarebbe bello tornare indietro, quando Grandmaster Flash & The Furious Five pubblicarono “The Message” e pensavano di aver creato una grandissimo genere. Negli anni, l’Hip-Hop si è evoluto: gangsta rap, G-funk, jazz rap, mafioso rap, crunk, trap… E chissà quali saranno ancora le evoluzioni. La questione non riguarda tanto lo stile, quanto il testo.
Da base per la protesta a oggetto di protesta. Le label non cavalcano più tanto l’onda delle emozioni degli artisti, quanto l’onda delle “emozioni” provenienti dal denaro. E il denaro va dove c’è roba frivola e beat immediati. Gli artisti si adeguano ed il mercato va. Credo che sia facile esemplificare e ridurre tutto a questo.
L’impatto, in realtà, merita uno sguardo più approfondito. E’ facile dare la colpa alla case discografiche, ma l’impoverimento dei testi è in parte voluto anche dagli stessi artisti. Quelli più famosi semplicemente si adeguano a quello che la label ed il mercato vogliono; quelli emergenti devono farsi conoscere ed entrare nelle teste seguendo la massa e quello che la massa vuole.
Davvero la “massa” vuole questo? Voglio adottare tre punti di vista per arrivare al punto.
Prendiamo un bambino o una bambina di 6-7 anni che ascolta una qualunque canzone e assumiamo che stia ascoltando la terza canzone rap di fila che parla di “smoke” e “bitches“. Crederà che quella sarà la vera vita o potrà ripetere quelle parole che non avranno un senso, almeno in quel momento.
Prendiamo il caso di un adolescente. La fase è delicata, sappiamo che da adoloscenti siamo curiosi ed in cerca di un modello. Si presenta l’idolo rap con i suoi testi lascivi e quello diventa lo stile di vita che l’adolescente perseguirà. Magari crescendo capirà che è sbagliato, magari crescendo affina solo la sua “arte”.
Entriamo ora nell’ultima prospettiva, quello che ci ricollega alla storia di partenza. Riceviamo tutti delle pressioni, il problema è reggerle. Sono molti gli artisti che hanno rappato e rappano ancora della pillola che ti “solleva” dalle tue preoccupazioni per un po’ di tempo. Verrà “naturale” cedere alla tentazione e poichè la “cura” sembra funzionare, si entrerà in un circolo vizioso che porterà alla dipendenza e, forse, alle condizioni del ragazzo che vediamo nella foto in cima all’articolo.
Ancora una volta l’esemplificazione può essere nociva. Accanto ai rapper che parlano solo di banalità vi sono i rapper che fanno ancora sentire la loro voce di protesta, che vogliono dire al ragazzino: “ehy, c’è speranza per te“, ed all’ascoltatore in generale, anche casuale, magari bloccato nel traffico, “hai mai pensato che succede questo?“, togliendogli dalla testa il clichè del rap su donne e soldi.
Ancora, finora ho assunto che gli ascoltatori siano perlopiù “passivi”. In realtà, spesso siamo noi a decidere cosa vogliamo ascoltare e verso cosa vogliamo indirizzarci. Sicuramente il nostro umore ci spinge a preferire qualcosa piuttosto che altro, ma spesso siamo noi a scegliere la musica che ascoltiamo, influenzati più o meno dall’esterno.
In quest’articolo non mi pongo l’obiettivo di moralizzare o insegnare. Potrei essere stato troppo estremo e potrei dire: “ok, da oggi in poi facciamo così“. La mia vuole essere solo una riflessione, uno spunto da cui partire e a cui, spero, seguirà un dibattito (civile) nei commenti. Potete controbattere al mio punto di vista, sottolinearne debolezze, esporre il vostro parere e proporre le vostre soluzioni. Non penso davvero che questo sia fine a se stesso perchè citando una delle più belle canzoni di questo 2015 nel rap: “anche un solo uomo può cambiare il mondo“.