Si può dire che la carriera di Sia Kate Isobelle Furler sia iniziata due volte. La prima nel 1997 con la pubblicazione del suo debut-album “Only See”. Una “prima carriera” continuata negli anni 2000′ con altri 4 album senza clamori nè successi.
La seconda carriera è iniziata il 5 agosto 2011 con la pubblicazione di “Titanium”. Il brano era stato rilasciato come semplice singolo promozionale in vista della pubblicazione dell’album di David Guetta “Nothing but the beat”. A sorpresa ottenne un successo enorme che lo portò ad essere rilasciato come singolo ufficiale raggiungendo ottimi risultati in tutto il mondo. Da qui ha avuto inizio la sua strabiliante ascesa al successo: come featured artist: “Wild ones” con Flo Rida, “She wolf (falling to pieces)” ancora con Guetta, “Beautiful pain” con Eminem, “Battle Cry” con Angel Haze. Sia ha inoltre prestato la sua voce a due importanti soundtracks del 2013: “Kill and Run” per The Great Gastsby e “Elastic Heart” per Hunger games: catching Fire”.
Il successo di Sia però è stato ancora maggiore come autrice di brani molto apprezzati. Nel 2012 ha co-scritto le splendide “Diamonds” e “Blank page” per Rihanna e Christina Aguilera. Nel 2013 invece la cantante ha collaborato con altri pezzi grossi della musica internazionale: Beyonce (“Pretty Hurts”), Katy Perry (“Double Rainbow”), Eminem (la già citata “Beautiful pain”), Britney Spears (“Perfume”). Anche nel 2014 ha lavorato con tante artiste: Kylie Minogue, Shakira, Jennifer Lopez. Ha co-scritto persino il singolo dei mondiali “We are one”. Ma Sia ha co-scritto tante altre tracce famose durante questi anni di cui sicuramente qualcuna vi sfugge.
Tutto questo successo però è stato fatto “in silenzio”: nessuna apparizione televisiva, pochi eventi mondani a cui ha partecipato, pochissime foto che la ritraggono. Una sostanziale volontà di anonimato che ha contraddistinto la cantante fin dagli inizi della sua carriera. Carriera che, dopo essersi consolidata a livello internazionale nel giro di 3 anni, è arrivata ad un punto di svolta che chiarirà se il suo successo dipende dai nomi a cui si affianca o al contrario può raggiungerlo anche da sola.
Eccoci quindi a “1000 Forms of fear”.
La copertina dell’album rispecchia fedelmente l’Era per come si è sviluppata in questi mesi. L’attenzione deve essere puntata esclusivamente sulla sua musica e non sulla sua immagine (e infatti nella cover troviamo solo il suo caschetto biondo senza la sua faccia). Sia non fa eccezioni neanche per le performances: lei canta dal vivo ma dando le spalle alla telecamera. Una scelta che, per chi non sa nulla di lei, può apparire persino supponente. In realtà la cantante riesce comunque ad intrattenere il pubblico non solo con la sua voce ma anche grazie alle ballerine bambine che volteggiano sul palco (con una parrucca bionda ad imitazione dell’artista) mentre lei canta di spalle.
In questo album, Sia si affida a Greg Kurstin, produttore che negli ultimo quinquennio si è tolto molte soddisfazioni grazie alle colaborazioni con Lily Allen, Pink, Kesha, Foster the People, Marina and The diamonds, Katy Perry, Kylie Monogue, Kelly Clarkson, etc. Kurstin ha prodotto da solo 10 delle 12 tracce dell’album ed ha co-prodotto le restanti tracce “Elastic Heart” e “Chandelier”. Apparentemente la scelta di affidarsi nelle mani di un unico produttore può portare al rischio di ripetitività e monotonia. Vedremo se questo rischio è stato scongiurato con la nostra track by track review dell’album.
1. Chandelier: l’open-track dell’album è il primo singolo: la perla “Chandelier”. La canzone è probabilmente il migliore brano pubblicato nel 2014. Siamo di fronte ad una pop-ballad con influenze electro caratterizzata da un chorus semplicemente magnifico, reso tale dalla potenza vocale di Sia. Con la voce di qualche altra cantante, questo singolo non avrebbe certamente lo stesso impatto e la stessa incisività. U’interpretazione superlativa che rende questo brano superiore a qualsiasi altro brano scritto dalla cantante per altri (forse giusto “Diamonds” sarebbe in grado di reggere il confronto). Per quanto riguarda il testo, esso parla in maniera indirettamente dissacratoria dell’abitudine allo sballo (1,2,3 drink…I’m gonna live like tomorrow doesn’t exist). Unica pecca? Le strofe veramente minuscole.
2. Big girls cry: A differenza di due hits che hanno raggiunto la vetta della Billboard Hot 100 le quali erano intitolate “Big girls don’t cry” (dei The Four seasons nel1962 e di Fergie nel 2007), Sia la pensa diversamente: ” le grandi ragazze piangono quando il loro cuore si sta spezzando”. Ci troviamo di fronte di fronte ad una ballad meno altisonante della precedente ma non per questo meno pregevole. Dopo una serie di ascolti si potrà riconoscere la qualità e l’intensità emotiva di questo brano che si candida a diventare un singolo ufficiale.
3. Burn the pages: sound sinthpop nella canzone “Burn the pages”. Non mi stupirei se questo brano, prima di registrarlo per “1000 forms of fear” fosse stato proposto a qualche altra cantante con cui Sia ha collaborato in questi anni. “Burn the pages” non regge il confronto con i due brani precedenti (ed altri successivi) in quanto la cantante sembra dare il suo meglio nelle power ballads. Chiaramente, non avendo senso un album composto solo da un genere di canzoni, brani come questo riescono comunque a rendere il disco più ricco e più vario.
4. Eye of the needle: eccoci ad un altro highlight dell’album: “Eye of the needle”. Rilasciata come singolo promozionale, la canzone ha tutto per essere promossa a secondo a singolo ufficiale. Il brano è una ballad, caratterizzata dal suono soffuso del piano e della batteria, è composta nelle strofe da versi di poche parole intervallati dai vocalizzi della cantante. Sulla stessa linea il potentissimo chorus presenta gli apprezzabilissimi virtuosismi vocali della cantante. Il tutto viene fatto senza che il brano risulti esaperato ma anzi è difficile rimanere indifferenti ala magia e alle emozioni che genera questo pezzo.
5. Hostage: il suono della chitarra elettrica introduce in “Hostage”, canzone che rappresenta un cambio di direzione rispetto alle canzoni precedenti.. Il brano è una uptempo più movimentata che può ricordare le atmosfere di alcune canzoni di Gwen Stefani e di Katy Perry. Da certi punti di vista la canzone risulta essere una delle più simil ia quelle dei precedenti suoi album. In definitiva è una buona album track.
6. Straight for the knife: il pianoforte apre la sesta traccia “Straight fo the knife”. Il brano è una pop-ballad dall’atmosfera un po’ epica e dal testo altisonante: “Tu vai dritto per il coltello ed io mi preparo a morire, la tua lama brilla.Mi hai guardato dritto negli occhi e hai portato il gas verso l’alto, hai tenuto accesa la fiamma e ti chiedi perchè io abbia paura del fuoco,ti chiedi perchè fai piangere le ragazze“. Dopo diversi ascolti, anche questo risulta essere un ottimo brano. Ci sarebbe stata sicuramente la fila di cantanti desiderose di poter avere nel proprio album una canzone come questa.
7. Fairgame: vira in una direzione più sperimentale “Fairgame”. Tra strofe tra il sussurato e il parlato ed improbabili intermezzi di carillon, il pezzo appare tra i più particolari dell’intero album. Nel complesso però non spicca anche per la presenza di una struttura inusuale.
8. Elastic Heart: è rientrato nel final-cut di “1000 forms of fear” anche “Elastic Heart” singolo che originariamente faceva parte della colonna sonora di “The Hunger games Catching fire”. In questa album-version Sia però non duetta, come nella versione della soundtrack, con The Weeknd. Siamo anche qui di fronte ad un pezzo di livello notevole. Una produzione enigmatica e particolare firmata da Diplo si somma alla voce della cantante che anche in questo caso fa fare un salto di qualità al pezzo. Personalmente non ho mai considerato questa canzone in linea con la colonna sonora di “Hunger games, Catching fire” e la ritrovo più adatta all’interno di questo album. Ricordiamo che in origine il brano era stato scritto per Katy Perry ma poi ha rinuniciato ad inserirlo in “Prism”. Fortunatamente.
9.Free the animal: dopo “Elastic Heart” arriva un altra produzione tutt’altro che minimalista in “Free the animal”. La canzone presenta anche altri aspetti rimarcabili comei background vocals del ritornello e i vocalizzi dopo il ritornello. Anche in questo caso il chorus conquista fin da subito l’ascoltatore: “Detonami (sparami come se fossi una palla da cannone), granulami (uccidimi come se fossi un animale), Decapitami (colpisci com ese fossi una palla da baseball), emancipami (libera l’animale). Da notare ancheil bridge uno dei migliori dell’intero album. Con tutti questi aspetti positivi anche “Free the animal “si candida a diventare un singolo. La concorrenza è però forte.
10. Fire meet Gasoline: cosa succede quando il fuoco incontra la benzina? Che siamo di fornte ad un altro pezzo esplosivo di Sia. Anche In questa midtempo “Fire meet gasoline”. è la voce di Sia ad elevare il la qualità del pezzo. Ritengo che il brano possa essere commercialmente forte. In “Fire meet gasoline” possiamo notare l’influenza che ha avuto la muscia mainstream in Sia. Ci si piò accorgere infatti di una somiglianza, almeno parziale, tra questo ritornello e quello di “Halo” di Beyoncè.
11. Cellophane: ci avviciniamo alla conclusione. La penultima traccia “Cellophane” è un’altra power ballad che non regge il confronto con le tre ottime tracce precedenti. Ascoltare il brano è piacevole ma non viene voglia di risentirlo nuovamente. Nulla lo contraddistingue in maniera evidente. Questa volta la voce di Sia, seppur assume molta importanza, non eleva il pezzo.
12. Dressed in black: arriva alla fine la canzone più intima dell’album. In “Dressed in black” Sia racconta di difficoltà che ha dovuto affrontare: “Ero giù ed avevo perso tutto perchè avevo paura ed ero tormentata e ho preso la notte e lo resa una battaglia e sono caduta in basso ma era come se ne fossi atratta…hai preso le mie mani nelle tue, hai iniziato a rompere i miei muri e hai fatto a pezzi il mio cuore”. Anche in questa traccia Sia non lesina la possibilità di esercitarsi in virtuosismi vocali ma lo fa esclusivamente nell’outro del pezzo della durata di 2 minuti, persino esagerata come scelta. Una versione di 5 minuti, invece dei 6 minuti e mezzo sarebbe stata più che sufficiente. La canzone, soprattutto per il testo, è molto apprezzabile ma escludo una possibile pubblicazione come singolo. Si tratta comunque di un buon congedo dell’album.
Il treno del successo passa una volta sola. Sia lo sa ed ha deciso di salirci ma alle sue condizioni. “1000 forms of fear” ha le carte in regola per sfondare. Adesso però bisognerà vedere quanto la cantante abbia intenzione di ricercare il successo. Il primo singolo “Chandelier” ma anche i possibili singoli successivi (“Big girls cry”, “Eye of the needle”, “Straight for the knife”, “Free the animal”, “Fire meet gasoline”) non hanno nulla da invidiare alle canzoni che dominano le charts di tutto il mondo. Anzi. Possono contare su qualcosa che esse non hanno neanche lontanamente: la voce di Sia.
Dall’inizio alla fine “1000 forms of fear” si regge sulla voce della cantante. Essa è determinante nel trasformare un brano ottimo in un brano strabiliante (come in “Chandelier” e “Eye of the needle”). La vocalità di Sia riesce anche a dare una nuova luce a brani altrimenti più trascurabili (“Burn the pages”, “Hostage”). Se ne deduce che alla domanda iniziale sul pericolo derivante dalla scelta di un unico produttore come Greg Kurstin, la risposta non può che essere la seguente: la produzione dei brani è quasi “secondaria” (a parte qualche caso). Essa cerca di adattarsi al fulcro dei brani costituito dalla vocalità di Sia e dai suoi eccellenti testi. E questo il pop in versione Sia Furler. Così il rischio monotonia risulta scongiurato.
In conclusione possiamo dire che Sia, nonostante tante collaborazioni, abbia tenuto per sè molte perle. Adesso le sfoderà tutte in questo LP, un album ricco, curato e incentrato nel mostrare il meglio di ciò che Sia possa fare. Forse non sarà uno degli album più venduti nel 2014 ma sicuramente è uno di quelli di maggiore qualità.
Valutazione 8.5/10
Avete ascoltato “1000 forms of fear”? Vi è piaciuto?