B.O.B. ha richiamato l’interesse di molti grazie al suo primo album, ed ora a 2 anni di distanza il rapper di Atlanta pubblica il suo secondo lavoro: “Strange Clouds”. Certo, quando il tuo primo singolo ufficiale arriva alla numero 1 sia negli States che in UK, tutti si aspettano che nel tuo secondo album ci siano delle conferme, e la dimostrazione che non sei un one-hit man: visto che il suo passato nell’underground del dirty south (rappresentato da diversi mixtape, come il famoso Cloud9) era già un punto a favore di Bobby Ray Simmons, e visto che il primo “B.O.B. Presents: The Adventuers Of Bobby Ray” conteneva già più di una hit e parecchie tracce interessanti, era ovvio che l’attesa intorno al nuovo album uscito all’inizio di Maggio sarebbe stata notevole.
E la risposta a queste domande è Nì: ovvero, come era successo per il primo album, B.O.B. ha messo in questo nuovo lavoro il suo hip-hop dal volto facile e dalle melodie pop, quello dei pezzi ballabili e radiofonici e degli ospiti famosi. La sua musica non è l’altissima qualità, ma è ben fatta, ha rime sciolte e veloci e beat generalmente poco noiosi, è catchy e leggera, e non si sforza ad ogni costo di uniformarsi allo stereotipo hip-hop ne tantomeno si butta a bomba sull’hip-hop-dance (che poi in realtà è solo dance) perché è quello “che al giorno d’oggi vende”.
La squadra di produttori che lo affianca in questa nuova release è notevole, e vede aggiungersi ai fidi Dr. Luke e Cirkut (che avevano già lavorato con Bobby nell’album precedente) anche il richiestissimo Ryan Tedder (One Republic), Alex Da Kid, Frequency, e vede cimentarsi nella produzione anche lo stesso B.O.B. che al proposito ha dichiarato come fosse per lui importante avere completamente nelle sue mani l’album, sentirlo come una sua creatura al 100%.
E nonostante i numerosi artisti che ci hanno lavorato, la coerenza di suoni un po’ in tutte le tracce dell’album fa da filo conduttore attraverso la tracklist, anche se non è sufficiente da sola a dare coesione a questo “Strange Clouds”: alcuni pezzi decisi o altri più intimi convivono a fatica con tracce dallo stile super-melodico, rendendo difficile capire quale direzione voglia davvero prendere Bobby Ray con questa produzione. In particolare i testi in qualche traccia fin troppo filosofici o in altri casi eccessivamente semplici e popolari diventano l’indicatore di questa indecisione nel dare una impronta distintiva ed univoca all’album. O forse queste sono tutte facce di uno stesso artista che proprio in una delle tracce di definisce un “bipolare e fuori di testa”.
Ecco la tracklist:
1) L’album inizia con un superospite fin dalla prima traccia, la cui intro è narrata dalla voce di Morgan Freeman: in “Bombs Away” una bella base in rullante accompagnata da archi e cori in stile epico fa da tappeto per l’autocelebrazione del successo e della realizzazione di se – con qualche sconfinamento improbabile sul destino dell’uomo e del mondo; una traccia di discreto impatto, ma che forse non rappresenta a pieno il resto dell’album, e per questo forse meritava un altro posto nella tracklist.
2) La traccia numero 2 “Ray Bands” è invece una delle più “club” dell’album, meno solare rispetto alla gran parte delle altre ma certamente buona da ballare: il testo, dedicato ad uno dei temi più topici nell’hip-hop contemporaneo, quello della gold digger, arriva nel break ad invitare esplicitamente a ballare e divertirsi, come una vera club banger; la produzione è firmata (come nella prima taccia) direttamente da B.O.B., e il pezzo ha buone potenzialità, pur non essendo particolarmente originale.
3) Con la terza traccia “So Hard To Breathe” l’album inizia a svelare il suo lato più pop: scritta e co-prodotta da Sean Garreth (l’autore di “Work That” di Mary J o di “Check On It” e “Get Me Bodied” di Beyoncé), la canzone basa la sua melodia su un giro di chitarra e basso molto pop appunto; uscito nei mesi scorsi come brano che anticipava l’album (senza esserne un singolo ufficiale), devo però ammettere che lo sforzo di affrontare con un po’ più di sincerità il proprio percorso – dalle difficoltà giovanili al successo – che Bobby Ray fa con le lyrics di questa canzone è apprezzabile!
4) Ancora più pop è la traccia n.4 “Both Of Us”, chiacchierata collaborazione con Taylor Swift: il testo scritto da Bobby Ray vola molto alto, tra sentimenti importanti e filosofia di vita (anzi, si rischia quasi di perderlo), mentre la produzione è affidata a due hit-maker come Dr. Luke & Cirkut, che hanno fatto la scelta di creare una base decisa, su cui si innesta un giro di chitarra molto leggero, e che lascia la voce di Taylor sospesa nel vuoto, con una scelta che spezza più volte il ritmo; una traccia che sembra “incompiuta” e che non ha convinto: nonostante sia stata scelta come terzo singolo, non è riuscita ad eguagliare le vendite dei primi due estratti.
5) Segue la title-track nonché primo singolo dell’album, realizzato con il featuring di Lil’ Wayne: “Strange Clouds” è una mid-tempo dalle atmosfere abbastanza party (ed anche il testo è in puro stile “put your drinks up”) e dal beat ballabile, ma con dei suoni che creano un’atmosfera abbastanza scura, come se il pezzo più che portarti ad una festa, ti portasse in un dark club; sicuramente ben confezionato, ed ipnotico quanto basta da permettergli di arrivare nella top10 americana.
6) La traccia 6 è invece il secondo singolo di quest’album, ovvero “So Good”, ed è una delle tracce firmate da Ryan Tedder: mood positivo, melodie pop, ritornello corale e molto “canticchiabile” ed un testo che è un sogno e una promessa di viaggiare il mondo insieme, e di vivere una storia da sogno; certo Bobby Ray sa come incantare con le favole, e questo singolo è sicuramente una delle tracce più catchy e piacevoli dell’album, tanto che è arrivato fino alla n.11 della Hot100 americana ed alla n. 7 della UK Top75.
7) Il brano n.7 della tracklist è “Play For Keeps”, pezzo atipico rispetto al resto dell’album, un po’ più aggressivo nelle rime e scuro nelle atmosfere: una sequenza infinità di versi che B.O.B. lancia senza interruzione, che non ha un ritornello ne un tema melodico portante, ma solo una base abbastanza potente che supporta perfettamente le lyrics; forse un po’ troppo pulito per essere un pezzo da strada, ma di certo una delle tracce meno pop di questo Strange Clouds.
8) Altri due super-guest nell’ottava traccia dell’album: “Arena” vede il featuring del boss della Grand Hustle T.I. ed anche di Chris Brown ed è un pezzo molto auto celebrativo, costruito sul contrasto tra le strofe, fatte di rime decise costruite su una base dura e accompagnata da un giro di chitarra, ed il ritornello, dove C.B. usa delicatamente la sua voce su un giro di piano dolce e più lento; un pezzo discreto, ma dal quale mi aspettavo più emozioni, visto anche il calibro degli amici che B.O.B. ha voluto sulla traccia firmata da Luke & Cirkut.
9) Ancora più deep ed a tratti anche alienante è invece “Out Of My Mind”, la traccia n.9: la base prodotta da Luke, Billboard e Alex Da Kid è perfetta per esprimere l’inquietudine ed è allo stesso tempo ipnotica, e la guest Nicki Minaj è il personaggio perfetto per questa atmosfera; sicuramente un pezzo che cresce dopo diversi ascolti, e che anche nelle rime esprime a dovere l’idea di follia (a parte l’outro un po’ banale).
10) Le atmosfere tornano ad essere decisamente più pop con “Never Let You Go”, la traccia n.10 che vede la partecipazione vocale di Tedder (oltre alla sua produzione): giro di chitarra acustica, beat mid-uptempo, ritornello catchy e good-feelin’, nonostante il tema sia la malinconia di un addio da una persona per la quale daresti tutto; personalmente, per quanto bella e radio-friendly, trovo questa traccia troppo in stile “One Republic”, con tantissimi echi della loro “Good Life”.
11) Difficile definire la traccia n.11 intitolata “Chandelier”, dove Bobby Ray rima su una base essenzialmente pop, accompagnato nel ritornello ed anche in una delle strofe dalla voce sottile della poco conosciuta Lauriana Mae (giovane voce che mescola jazz e r&b, finalista tra l’altro di un talent su MTV US): nelle lyrics una guida alla vita vera e giusta secondo B.O.B., ma non bastano una melodia piacevole e qualche buon proposito a fare un buon pezzo, e la mia impressione è che questa traccia non prenda una direzione precisa, ma vada invece a perdersi.
12) Si torna ad atmosfere easy e temi leggeri (una cotta che dura da troppo tempo per una ragazza che ora è diventata una star) con “Circles”, traccia numero 12 che vede la produzione dello stesso B.O.B. insieme a Mynority: anche in questo caso il beat ha una ritmica molto docile, e la melodia fa il resto, permettendo al pezzo di diventare l’ennesima traccia accattivante di questo album, in puro stile mainstream.
13) La traccia n.13 realizzata insieme ai Playboy Tre (già socio di B.O.B. negli HamSquad) è “Just A Sign”, e qui Bobby Ray va sul filosofico (o sul profetico?) e le atmosfere che si respirano specialmente nel ritornello ricordano quelle di una preghiera, di una riflessione intima – il che di per se è legittimo ed anche bello, ma stride un po’ con l’eccessiva leggerezza di altre tracce dello stesso album; lo sforzo di B.O.B. qui non porta certo ad un grande risultato.
14) E infatti nella traccia 14 Bobby torna a atmosfere decisamente allegre e a temi leggeri, cantando divertito e con soddisfazione come la sua “testa tra le nuvole” gli abbia permesso di arrivare a costruire castelli in aria: “Castles” vede il featuring vocale di Trey Songz nel ritornello, e la produzione di Ryan Tedder, che però ci regala atmosfere pop su una base più black e decisa rispetto ad altri pezzi da lui prodotti qui; sicuramente una delle tracce che funzionano di più in questo album.
15) La versione standard dell’album si conclude con “Where Are You (B.O.B. vs Bobby Ray)”, un altro pezzo difficile da comprendere, dove Bobby sembra dubitare o rimpiangere alcune delle proprie scelte, mentre un piano scorre lungo tutta la traccia accompagnato da background vocal che lo rendono intimo. Una traccia tutta scritta, composta e prodotta da Bobby Ray, quasi a concludere l’album con l’essenza del suo percorso. Sforzo apprezzabile, ma purtroppo la canzone non riesce a voltare alto come meriterebbe.
Insomma, questo “Strange Clouds” è un lavoro fondamentalmente mainstream, con una certa connotazione urban; un album che ha fatto un po’ storcere il naso ai critici e che fino ad ora non ha conquistato del tutto il pubblico (debuttando alla n.5 della classifica generale album americana, ma totalizzando solo 120.000 copie vendute nelle prime 3 settimane). E’ andata meglio ai singoli, visto che i primi 2 estratti hanno ricevuto entrambi la certificazione di Platino, e il terzo potrebbe arrivarci.
Sicuramente bisogna dare atto a B.O.B. di aver voluto mantenere una certa continuità con il lavoro precedente, ma sono mancati quei colpi di genio che hanno permesso a “The Adventures Of Bobby Ray” di regalarci hit da numero 1 e una certa dose di novità; la scelta di non “giocare” troppo con l’elettronica ha certamente il mio favore, ma ovviamente per conquistare le classifiche restavano a disposizione 2 scelte, ovvero la contaminazione più pop (che già si era vista nell’altro album) o una nuova fase creativache gli permettesse davvero di sfondare: evidentemente Bobby ha preso la prima strada, ma lo ha fatto dimostrando buone capacità e riuscendo a divertire. Il mio voto finale è 3+/5, perché sono molto esigente e avrei preferito trovarci un po’ più hip-hop dentro queste tracce, anche se il lavoro è di buona qualità.
Voi cosa ne pensate? Avete ascoltato l’album? Secondo voi potrebbe davvero arrivare a diventare un personaggio di peso sulla scena hip-hop americana, o resterà della mid-class?