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Katy Perry, ecco 5 canzoni da scoprire della cantante californiana
Se nominassi Katheryn Elizabeth Hudson forse alcuni di voi non capirebbero a chi mi riferisco, ma se la chiamassi con il suo nome d’ arte, Katy Perry, sarebbe chiaro a tutti.
Questo perché dopo essere esplosa in tutte le charts mondiali nel 2008 con la sua hit “I Kissed A Girl”, la cantante non ha più abbandonato le scene, ritagliandosi il suo spazio nel mondo del pop internazionale. Il suo successo è senza dubbio dovuto al suo stile leggero, colorato ed autoironico, tanto amato quanto odiato, di cui ha fatto la sua firma… Ma non è di questa Katy Perry che voglio parlarvi oggi.
Vorrei con voi mettere un attimo da parte la ragazza dalla parrucca blu che si addentra nei meandri di Candyfornia, o quella che partecipa a party improbabili con Rebecca Black nella clip di “Last Friday Night (T.G.I.F)”, per mostrarvi un lato diverso di lei.
Sia chiaro che tutto ciò non è per rinnegare l’ anima pop e cartoony dell’ interprete di “Roar”, ma semplicemente per mostrarvi, attraverso un’ analisi di 5 pezzi della sua discografia, che anche lei, non è solo ciò che si può evincere dai suoi più grandi successi. Cominciamo.
“Mannequin”, dall’ album “One Of The Boys”.
La prima canzone di cui voglio parlarvi si chiama “Mannequin”, proviene dal secondo disco in studio di Katy “One Of The Boys”, ed è stata scritta interamente dalla Perry, e prodotta da Greg Wells.
Questo brano, come molti altri presenti nell’ album, parla di una relazione conflittuale e controversa in cui si è trovata coinvolta la cantante, quella con un ragazzo totalmente restio a mostrare le proprie emozioni e ad aprirsi con lei… Ecco spiegato il “soprannome” affibbiatogli, ovvero “manichino”.
Una cosa che mi piace molto del testo di questo pezzo è l’ approccio di Katy alla situazione, che è ancora molto, oserei dire, “immaturo” (in senso positivo, l’immaturità di chi deve ancora vivere alcune esperienze, ed infatti Katy in un verso ammette di non essersi mai trovata in una situazione simile), sbarazzino, pratico: prima arriva a ipotizzare di far del male al suo compagno, per vedere se almeno qualche lacrima di dolore riesce a versarla (“I wanna hit you just to see if you cry”),
poi sembra voler mollare tutto (“’Cause this one is outta my hands”), ma alla fine del testo c’è un ultimo tentativo, dove propone al suo ragazzo di risolvere con il futuro, insieme, i problemi del passato, per aiutarlo a superare questa sua apatia, con riferimento alla storia di Pinocchio che viene trasformato da marionetta a bambino (“If the past is the problem, our future could solve them baby/I could bring you to life, if you let me inside, oh baby/It will hurt, but in the end, you’ll be a man”).
Il sound della canzone è il tipico pop-rock che contraddistingue il CD: vivace, prorompente e fresco come la cantante. Un’ altra cosa da notare è la performance vocale: Katy fa diverso uso della voce, dal ritornello dove sembra quasi gridare (come per esprimere la sua frustrazione), a quei “I’m just a fool” sussurrati dolcemente nella seconda strofa (quasi per rassegnazione).
“Lost”, dall’ album “One Of The Boys”.
Continuiamo con un altro estratto da “One Of The Boys”, “Lost”. Questa canzone, scritta da Katy Perry e da Ted Bruner, che l’ha anche prodotta, è secondo me tra le migliori dell’ album.
Di cosa parla? Di quando la cantante ha giocato veramente il tutto per tutto per poter coronare il suo sogno e diventare ciò che è ora.
Perché si, Katy Perry ha sempre sognato di fare questo mestiere, già quando era una bambina che cantava nel salotto di casa sua. Nel 2001 ha addirittura pubblicato il suo primo disco in studio, di musica cristiana (l’ unica da cui potesse essere influenzata, visto che i suoi genitori sono predicatori estremamente rigorosi), ma non ha riscontrato nessuna soddisfazione commerciale.
Così, all’età di soli diciassette anni, Katheryn è andata a vivere a Los Angeles, da sola e senza il benestare da parte della famiglia (lo dice nel testo: “My mother says I should come back home”), per cercare fortuna. Ed eccoci arrivati a “Lost”, che tratta proprio questo: il trasferimento in una grandissima città, evento scombussolante per una ragazzina abituata fino ad ora alla sua piccola realtà casa-chiesa.
Questa sensazione di disorientamento, di sentirsi persi, è trasmessa oltre che dalle parole dell’ interprete (“So sick of this town pulling me down”) anche dalla sua voce, dolce ma allo stesso tempo malinconica, e dalla base, dove a farla da padrone è la semplicità di uno xilofono.
Ogni volta che ascolto questo brano non posso che immaginarmi Katy vagare da sola, di notte, per le strade di L.A, un po’ brilla per qualche bicchiere di troppo, un po’ abbattuta per un altro giorno senza novità… Totalmente ignara di cosa il futuro e questa stessa città abbiano in serbo per lei.
“Circle The Drain”, dall’ album “Teenage Dream”.
Cambiamo album e passiamo al terzo, “Teenage Dream”. Il primo brano che voglio presentarvi da questo disco è “Circle The Drain”, canzone scritta da Katy Perry, Tricky Stewart e Monte Neuble, prodotta sempre da Tricky insieme a Kuk Harrell.
La canzone parla della relazione tra la cantante e il frontman dei Gym Class Heroes, Travie McCoy, che nel testo è accusato senza giri di parole di abusare di sostanze stupefacenti. La track è forse la più aggressiva in tutta la discografia di Katy: accompagnata da una base electronic rock, la Perry canta con voce decisa, quasi sprezzante, parole molto dure nei confronti del suo ex-ragazzo.
Egli viene accusato di continuare a giustificare con vane scuse la sua dipendenza (come che drogarsi gli serva per ispirazione artistica) e di continuare a promettere di smettere sebbene non lo faccia. Viene additato anche come totalmente dipendente dalle sue “pillole” e schiavo dei loro effetti, tanto che in un verso è tacciato di essersi addormentato durante i preliminari…
La cantante si dice stanca di tutto ciò, si arrende sebbene credesse di potercela fare a cambiarlo (“I thought I was the exception, I could rewrite your addiction”), perché ormai più che la sua fidanzata, è diventata quasi sua madre nel doversi costantemente prendere cura di lui (“Wanna be your lover, not your fu*king mother”).
Il passaggio più interessante secondo me è quello che dice “Sei diventato ciò che disprezzi, uno stereotipo. Pensi di essere così rock ‘n roll, ma veramente, sei solo uno scherzo”.
Un brano molto particolare e che spicca in un album generalmente più spensierato.
“Who Am I Living For?”, dall’ album “Teenage Dream”.
Il secondo pezzo che vi voglio far notare da “Teenage Dream” è stato creato dallo stesso identico team di quello appena presentato, con l’ aggiunta di Brian Thomas al songwriting: si tratta di “Who Am I Living For?”, uno dei picchi di questo disco secondo me.
Proprio come “Circle The Drain”, anche questa traccia si distanzia dall’ allegria e la leggerezza di altri brani del CD, presentando un’ atmosfera elettronica a mio parere molto cupa e introspettiva.
Il testo è il più difficile da spiegare di quelli che vi presento oggi, perché è come se fosse stato scritto allo stesso tempo dalla Katy Perry del passato (quella di cui vi ho parlato in “Lost”, che vive a Los Angeles in cerca di fortuna) e da quella già affermata nel panorama musicale, a due prospettive insomma.
Da un lato c’è la Katheryn che non riesce a sfondare nonostante ce la metta tutta, che continua a vedere porte chiudersi davanti alla sua faccia e le etichette licenziarla (pensate che nel 2005 doveva uscire un suo album in collaborazione con il team The Matrix ma è stato cancellato), che è quasi ossessionata dal voler diventare famosa.
Dall’altro c’è la cantante di successo che ha finalmente trovato la sua strada, ma che ha paura di perdersi, paura che la celebrità sradichi i suoi principi morali e sia faticosa da mantenere (“I know there will be sacrifice, but that’s the price”).
Il passaggio più bello tra tutti, e che spiega al meglio tutto ciò, secondo me è: “Non è mai facile essere scelti, mai facile essere chiamati, stare in piedi in prima linea quando le bombe cominciano a cadere/Posso vedere il Paradiso, ma posso ancora sentire le Fiamme che chiamano il mio nome”.
Nel primo pezzo c’è il paragone con un giovane soldato chiamato alle armi, che simboleggia la voglia di Katy di mettersi in gioco e lottare per ottenere il suo posto nella musica. Nel secondo c’è la contrapposizione tra il Paradiso (l’ aver realizzato il suo sogno) e l’ Inferno che la chiama (i rischi del successo).
Si notino anche i numerosi riferimenti religiosi e storici in questo testo: oltre all’ appena detto del Paradiso e dell’ Inferno, o a quello del sacrificio, c’è quello alla Magnificenza (non lasciare che ti butti giù, dice Katy!) e viene anche citata Esther, personaggio biblico.
La voce di Katy varia dal ritornello, dove quasi urla (e secondo me valorizza il suo timbro), a punti in cui è modificata, ma in entrambi i casi è molto emotiva e a mio parere trasmette la frustrazione e l’ insicurezza dell’ interprete.
“Choose Your Battles”, dall’ album “PRISM”.
Così come ho aperto il post con una canzone creata da Katy Perry e Greg Wells, lo chiudo allo stesso modo. In questa “Choose Your Battles”, uno dei migliori pezzi del quarto disco “PRISM”, entrambi hanno scritto (insieme a Jonatha Brooke) e prodotto.
Il brano parla di una relazione sul punto di rottura, dove a padroneggiare sono litigi e tensioni. Per descrivere tutto ciò, Katy si serve della metafora della guerra, che è spesso richiamata (dallo stesso titolo “Scegli le tue battaglie” a versi come “I tuoi giochi mentali colpiscono come granate”, “Mi combatti ma sono dalla tua parte, sconfitta, adesso in ritirata”).
Una cosa da notare, però, è il modo in cui la Perry reagisce a questa situazione, e per farlo possiamo fare un paragone proprio con la prima canzone dell’ articolo. Se la Katy Perry del passato davanti a delle relazioni difficili se la prendeva con i suoi compagni (giudicandoli dei manichini perché non provavano emozioni, o accusandoli al contrario di averne troppe e contrastanti come in “Hot ‘N Cold”), quella di “PRISM” secondo me è maturata e vede le cose da una prospettiva diversa.
In “Choose Your Battles” infatti Katy non fa accuse ma, perfettamente in linea con il messaggio di pace e positività del disco, si dice semplicemente stanca di tutte le discussioni e invita il suo compagno a riflettere, a sotterrare l’ ascia di guerra, dicendosi disposta ad accettare qualunque sua conclusione (“If you wanna go, then go, if you wanna stay, then stay, ‘causa I don’t wanna fight, no more”), disposta ad aspettarlo.
Tutto questo, accompagnato dalla sua voce molto dolce e dalla base elettronica molto “soft”, dona al brano, secondo me, un’ atmosfera di armonia e serenità, che è proprio quello a cui la cantante ambisce. A volte è proprio il caso di essere noi stessi i primi ad alzare bandiera bianca, nonostante attaccare sia molto più facile.
https://www.youtube.com/watch?v=6yhPeS_VBhQ
Vi lascio invitandovi ad ascoltare questo brano ad alto volume, con le cuffie e gli occhi chiusi: io quando lo faccio mi distraggo e mi rilasso totalmente.
– Pubblicato da Giacomo Costa –
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