Non sempre gli artisti che sono destinati ad arrivare al successo ci riescono al primo tentativo. Purtroppo, in un universo musicale in cui il talento non è sempre l’unico fattore che conta, a volte dei grandissimi talenti non esplodono fin dall’inizio semplicemente perché privi di qualche mezzo per arrivare al grande pubblico, che pur essendo potenzialmente in grado di comprendere il loro potenziale non vengono a conoscenza della loro esistenza.
In questi casi, perché l’artista in questione venga fuori c’è bisogno di un fattore in più, di una scintilla che permetta alla gente di venire a conoscenza della sua musica e del suo talento: nel caso di Rachel Platten, questa scintilla ha un nome ed un cognome, e si chiama Taylor Swift. La nuova star del country pop era nel giro da anni ed aveva già pubblicato 2 album, eppure nessuno finora le aveva dato una chance per arrivare all’orecchio ed al cuore della gente. La situazione è cambiata, però, quando la Swift ha ascoltato per la prima volta la canzone “Fight Song” ed ha deciso di proporla al suo pubblico.
Di qui in avanti, tutto è cambiato per Rachel: il brano ha raggiunto i primissimi posti nelle classifiche di mezzo mondo, ed il nome di Rachel ha finalmente iniziato a circolare. Questo ha portato alla release di un secondo singolo, “Stand By You”, e poi di un album arrivato proprio a capodanno. Il disco si intitola “Wildfire” e si pone lo scopo di lanciare la ragazza come nuova stella del pop. Sarà il disco all’altezza di questo obiettivo? Scopriamolo insieme.
1) Stand By You. Il disco parte con il botto grazie ad una bella up tempo che ci anticipa quello che sarà lo stile della cantante. Stand By You è una up beat prettamente pop che cerca di essere travolgente e dolce nel contempo, e che per questo fa affidamento ad una produzione ricca di strumenti ma che accompagna l’ascoltatore attraverso un fondo calmo e rilassante costituito da strumenti “dolci” come piano ed archi.
Mentre vari strumenti si arrampicano e arricchiscono la struttura di base, Rachel si impone con una voce potente ma che rinuncia assolutamente a lasciar trasparire una grinta prorompente: la voce di Rachel si impone su di noi, si, ma lo fa con dolcezza, quasi come se l’artista fosse una madre che vuole rassicurare i suoi piccoli. Ed è proprio una sensazione di sicurezza quella che pervade l’ascoltatore con questa traccia, il tutto per un lavoro che riesce sicuramente a raggiungere il suo obiettivo.
A livello testuale, il brano corona l’insieme di sensazioni prodotte grazie al connubio voce/base con liriche che esprimono un sostegno ed una fiducia incondizionati. Rachel promette all’interlocutore che starà al suo fianco per sempre, e noi percepiamo questa promessa come reale, sincera. Non c’era davvero modo migliore per iniziare questo disco.
2) Hey Hey Hallelujah (feat Andy Grammer). Se dopo questa apertura pensavate di potervi rilassare tra base e cantato dolci e testo rassicurante, beh tenetevi forte perché con la seconda traccia si cambia completamente registro! Rachel ci fa finalmente conoscere il suo lato più sfrontato grazie ad una grintosissima up tempo country-pop che ci travolge con una forza prorompente creata da trombe e strumenti vari.
E’ impossibile stare fermi con questa produzione: la musica si impossessa di noi e ci costringe a ballare. Davvero non ci aspettavamo nulla di simile dopo due singoli come “Stand By You” e Fight Song”. Ovviamente, qui l’interpretazione di Rachel è molto diversa rispetto a queste tracce: l’artista è decisa e sfrontata e vuole imporsi con una forza ed un’energia che mai ci saremmo aspettati da lei. Questo ci permette di apprezzare alcune sfumature del tutto inaspettate della sua voce, e questo non può che conquistarci ancora di più.
Per quanto riguarda la presenza di Grammer, non ci sembra che l’artista aggiunga qualcosa di più al brano: la grinta di Rachel è davvero molta, e l’artista appare un po’ sbiadito in questo contesto. La presenza di una voce maschile è invece funzionale per quanto riguarda il senso delle liriche, le quali descrivono una focosa scena d’amore in maniera piuttosto figurata, senza scendere in particolari. Forse qualcuno potrebbe essere disturbato da un così forte cambiamento, ma noi sicuramente promuoviamo la traccia a pieni voti e la consideriamo un probabile singolo, anche se difficilmente sarà estratta vista l’immagine che la nostra Rachel si è data.
3) Spechless. Ma in amore la nostra Rachel non sa essere soltanto sfrontata, e ce lo dimostra con una terza traccia in cui recupera tutta la dolcezza di “Stand By You”. “Spechless” è un’ispirata mid tempo pop sicuramente molto più debole rispetto alle due canzoni precedenti, che difficilmente potrebbe essere estratta come singolo ma che ci conquista comunque con una produzione ben fatta e particolare, n cui ad un beat principale si contrappongono dei suoni brevi ma concisi che catturano l’attenzione dell’ascoltatore.
Il sound di questa mid tempo è prettamente pop e vuole coinvolgere e catturare l’ascoltatore, e sicuramente ci riesce, tuttavia dopo la traccia precedente è molto difficile reggere il paragone, e questa “Spechless” appare un po’ sbiadita in questa sfortunata posizione. Una nota positiva va sicuramente alla performance vocale, che con un carico di phatos davvero ottimo riesce a coinvolgere al 100% l’ascoltatore. Rachel si conferma un’interprete straordinaria, una che sa dare l’anima in una canzone, e questa è una dote che va apprezzata ancora di più del mero talento di base.
Molto abile l’esecuzione dell’artista all’inizio ed alla fine della canzone, quando con frasi sussurrate ed utilizzando il registro basso della sua voce Rachel riesce a creare un rapporto quasi intimo con l’ascoltatore. A livello testuale, nel brano Rachel continua a vivere un amore ma lo fa con una maggiore intensità, con una forte carica emotiva che ci travolge, ma è forse proprio questo a stridere: come si può posizionare una traccia con questo dopo “Hey Hey Hallelujah”? In altre parole, promuoviamo la traccia, ma non sarebbe stato forse meglio metterla un po’ più avanti?
4) Beating Me Up. Le atmosfere trovano un giusto equilibrio tra tutto quello che abbiamo ascoltato finora in “Beating Me Up”, quarta traccia in cui il livello del disco ritorna immediatamente ai fasti delle prime due tracce, e forse riesce anche a superarli. Ci troviamo infatti davanti ad una up tempo che fonte energia e dolcezza, grinta e gentilezza in una base davvero d’effetto che riesce ad unire in un tutt’uno di vari aspetti dell’artisticità di questa ragazza.
Il brano parte con un ritmo minimal che si condisce però di un numero sempre maggiore di strumenti per poi esplodere in un ritornello molto forte. La struttura ricorda quella di “Stand By You”, è vero, ma le sensazioni prodotte dal brano sono completamente diverse, e questo ne fa un probabile terzo singolo. Questo risultato lo si raggiunge anche grazie all’interpretazione di Rachel, la quale qui sa essere grintosa senza dimenticare però la sua anima soft. Ciò le permette di dominare indisturbata su questa base, ma anche di coinvolgere chi ha iniziato a seguirla proprio con gli ultimi singoli.
Le vere ciliegine di questa succulenta torta arrivano però nel bridge e sul finale, e si tratta di un coro gospel che amplifica le sensazioni che già Rachel si cura di creare, di un acuto che mostra tutta la sua potenza vocale e di un “balbettio” finale che si pone come la miglior conclusione possibile per questa traccia. A livello testuale, questa volta Rachel ci parla di un amore finito ma dal quale è uscita più forte di prima: si tratta di un argomento sentito milioni di volte ma che con questa particolare interpretazione riesce davvero a coinvolgerci ed a farci rivivere eventuali nostre esperienze con leggerezza. Traccia promossa a pieni voti.
5) Fight Song. Siamo finalmente arrivati alla traccia che ha presentato Rachel al grande pubblico. “Fight Song” è una classica empowerment song, sia nel sound (power ballad pop con influenze indie) che nel testo che nell’interpretazione, eppure rifiuta l’abbandonarsi ad i soliti cliché, ai soliti esempi visti e rivisti, ed è forse anche per questo che è riuscita a fare breccia su tutti noi.
Il brano ci prende per la gola grazie ad un sound dolce, trascinante e delicato che tuttavia esplode nel ritornello grazie a delle batterie che esplodo sul piano che continua a cullarci ed alla potente voce di Rachel, che qui esegue una delle sue prove migliori. La cantante ci fa infatti apprezzare tutte le sue capacità interpretative risultando più dolce che mai nelle strofe ed incredibilmente decisa nel ritornello, il tutto per un cambio d’esecuzione che si spera coinvolga anche l’animo dell’ascoltatore, e che spesso ci riesce.
Le liriche cercano di infondere un profondo coraggio nell’ascoltatore, suggerendogli con un’infinita dolcezza di tenere duro in ogni situazione, anche in quelle più difficili. Rachel in questo brano si addentra nel ruolo di benefattrice dolce che cerca di infondere sicurezza, e la sua interpretazione è così credibile da farci sembrare che queste parole provengano non dalla sua bocca, ma dal suo cuore. Un successo più che meritato quello di questa hit, la cui estrazione come lead single è stata una scelta a dir poco ottima.
06 Better Place. Arriviamo finalmente ad una traccia in cui l’anima indie di questa ragazza emerge in tutta la sua forza fondendosi con il pop tipico dello stile evidenziato finora. Il risultato di questo fortunato incontro è una mid tempo delicata e particolare, una traccia caratterizzata da una produzione che culla dolcemente l’ascoltatore grazie ad un connubio tra un pianoforte soffuso e delle chitarre d’accompagnamento che vengono percepite dal nostro orecchio quel poco che basta per creare un pizzico d’atmosfera.
Il ritmo è sostenuto ma non troppo, le atmosfere sono soffuse ma non smorte, e l’esperimento riesce alla perfezione. Questa traccia ci mostra una Rachel diversa rispetto a quello che abbiamo ascoltato fino a questo momento: l’artista sembra voler somigliare ad una sorta di cantastorie in questa traccia, e per questo ci propone una performance vocale diversa rispetto alle tracce precedenti. Il modo di cantare è vicinissimo all’universo musicale indie, ed è anche questo a fare la differenza rispetto alle altre tracce, in cui questo aspetto era assente.
In questa traccia, la popstar ritorna al filone amoroso del disco, ma questo sentimento viene visto ancora una volta da un altro punto di vista: Rachel questa volta è una ragazza che si è appena innamorata, e che con tutta l’ingenuità di questo mondo dedica un’ode al ragazzo che le ha appena rubato il cuore. A questo punto sembra chiarirsi di più il concept del disco, il quale si divide appunto in due filoni: quello amoroso e quello delle empowerment song. Vedremo se la situazione resterà la stessa anche nella seconda metà dell’album.
7) Lone Ranger. Dopo aver sperimentato un po’ con l’indie, l’artista si distanzia molto da questo stile per tornare al puro pop e per forgiare una delle tracce più energiche e potenti dell’intero progetto. “Lone Ranger” non è una traccia fatta per restare a marcire nel disco! Estrarla come singolo a nostro avviso è un must: la produzione è potente ed incalzante, ed il ritornello è uno dei più memorabili del disco, forse l’unico che resta impresso nella memoria dell’ascoltatore una volta dato il primo ascolto completo al progetto.
Forse non la traccia più grintosa del progetto (il duetto con Grammer ancora non si batte!), ma di sicuro “Lone Ranger” è la più travolgente, e dimostra ancora una volta la versatilità di Rachel, la quale torna a proporci una veste inedita di sé: il progetto si sta rivelando davvero ben variegato! Anche questa volta la performance vocale è ottima e amplifica le sensazioni scatenate dalla base: si tratta di un’interpretazione forte, potente, che sa essere veloce o lenta a seconda dell’andamento della base e che sa giocare con i vari registri vocali.
A livello testuale, il brano sembra uscire un po’ dai filoni che sono stati descritti finora: Rachel qui interpreta il ruolo di una cavaliera solitaria, di una donna temeraria che viaggia per il mondo e che a tratti sembra voler fare la femme fatale e a tratti rifiuta ogni uomo. Il disco a questo punto si dimostra molto vario su tutti i livelli, e fa anche di questo il suo punto di forza!
8) You Don’t Know My Heart. Il cambio di sonorità avvenuto con la traccia precedente si acuisce ancora di più in questa “You Don’t Know My Heart”, in cui l’artista si lascia andare su una produzione pop che strizia l’occhio alla dance, un qualcosa che proprio non ci saremmo aspettati dopo aver ascoltato le prime canzoni incluse in questo progetto. Il ritmo non è particolarmente incalzante, ma avvolge piano piano l’ascoltatore durante le strofe per poi lanciarsi in un crescendo che, dopo un pre-ritornello molto forte, ci condurrà ad un ritornello buono ma forse un po’ troppo ripetitivo.
L’interpretazione di Racher è anche qui molto buona, eppure ci sembra mancare quel fattore in più che era presente nelle canzoni precedenti. Diciamo che la Platten riesce anche qui a mostrare le sue qualità vocali e a dar vita ad almeno un po’ d’emozione, ma in misura molto minore rispetto alle altre precedenti. Questo non crediamo sia imputabile alle effettive qualità della canzone quanto semmai allo stile del pezzo, non molto compatibile con la dimensione artistica di Rachel.
A livello testuale, il brano riporta l’artista nell’argomento prettamente amoroso descrivendola questa volta come una ragazza spaurita e che non riesce a dichiarare il suo amore al ragazzo di cui si è invaghita. Le parole interpretate e le doti dell’artista permettono dunque di far scaturire una buona dose d’emotività, tuttavia il significato delle parole cantate e le emozioni prodotte dalla base questa volta non vanno nello stesso senso. Diciamo che per ora questa è la canzone che apprezziamo di meno nel progetto.
9) Angels in Chelsea. Dopo questo esperimento non riuscito alla perfezione, Rachel incomincia a ritornare nel suo universo musicale con la traccia numero 9. “Angels in Chelsea” è una mid tempo in cui Rachel sembra voler ricreare le atmosfere di “Fight Song”, non riuscendoci al 100% ma dando comunque vita ad un brano di buona fattura. La produzione di “Angels in Chelsea” non è assolutamente fra le più incalzanti del disco, ma riesce comunque a conquistare l’ascoltatore grazie ad un buon accostamento tra synth e suoni organici.
Sorta di via di mezzo tra lo stile di Rachel ed un qualcosa di estraneo a lei, questa volta chi ha lavorato dietro alle quinte della traccia è riuscito a mediare tra i vari elementi per dar luce ad un brano piacevole all’ascolto e che non stride con le caratteristiche tipiche di Rachel. Molto ben studiati l’intro e l’outro, i quali risultano l’uno la continuazione dell’altro e danno all’ascoltatore la piacevole sensazione di concludere il viaggio attraverso queste sonorità nello stesso modo in cui lo si è iniziato.
In questo contesto, la voce di Rachel torna ad infondere sicurezza all’ascoltatore, cullandolo in alcuni momenti e dandogli delle piccole scosse quando serve, in particolare nei riuscitissimi pre-ritornelli. Rachel si dimostra una vera maestra con questo tipo di interpretazione, e noi non possiamo che apprezzare ciò. Anche qui, interpretazione e testo vanno a braccetto: le liriche voglio infatti infondere sicurezza e speranza nell’ascoltatore, spingendolo a credere nei suoi sogni ed a vivere con spensieratezza.
10) Astronauts. Dopo qualche traccia bella ma comunque meno entusiasmante rispetto a quelle che aprivano il progetto, il livello risale vertiginosamente per quella che può essere sicuramente considerata una delle migliori canzoni di questa seconda metà dell’album. Si tratta di una mid tempo pop il cui ritmo, inizialmente placido e tranquillo, esplode nel primo ritornello per poi andare avanti in cui crescendo di chitarre elettriche e batteria che continua anche nella seconda strofa e conquista rapidamente l’ascoltatore.
La voce di Rachel risulta più bella e limpida che mai in questa traccia, in cui la base torna ad esaltare le qualità del suo timbro e le permette alla cantante di dare il meglio di sé a livello interpretativo. La voce risulta calma e tranquillizzante, capace di far rilassare l’ascoltatore per tutta la durata del brano, comprese le parti più up tempo. Questo risultato viene ovviamente raggiunto senza andare in contrasto con la base, la quale pur velocizzandosi non perde l’appeal calmo che la contraddistingue dalle prime note.
Questa magnifica interpretazione, tra l’altro, non può contare solo sull’appoggio di un’ottima produzione, ma anche di cori ottimi e ben studiati e di un testo che dà vita ad un paragone a dir poco meraviglioso: quello tra degli astronauti che esplorano l’universo e due innamorati che viaggiano insieme all’interno della loro storia. Tutto funziona alla perfezione, e questo si rivela essere uno dei momenti più belli del disco.
11) Congratulations. Altra mid tempo dal sound evocativo e trascinante per la nostra Rachel, che con “Congratulations” torna ad esplorare universi musicali distanti dal suo cercando però di inserire comunque degli elementi che le sono famigliari. Anche qui troviamo una base di fondo minimal sulla quale arrivano ad accavallarsi per rendere il sound più corposo, ma in questo caso le sonorità strizzano decisamente l’occhio verso uno stile musicale più etnico che proprio non ci piace se accostato alla voce di Rachel.
Che questo stile non stia per niente nelle corde di Rachel lo si nota dalle caratteristiche della sua performance vocale: se nelle altre canzone l’artista comunicava ed emozionava, qui la percepiamo distante, come se fosse intenzionata a portare a casa l’esecuzione del brano per dovere e non perché si sente realmente ispirata. Certo, Rachel non è una pizza fredda che canta, un minimo d’emozione si sente, ma ciononostante il brano non regge minimamente il paragone con il resto del progetto.
Il brano si inserisce ancora una volta nel filone amoroso del disco, ed analizza il sentimento da un punto di vista “negativo”, ossia quello di una ragazza che si è appena lasciata e ringrazia ironicamente il suo ex per averla ferita, per aver pronunciato parole che le hanno fatto male. Rachel non può far percepire un dolore enorme proprio per via dell’impostazione ironica del tuttavia nella sua voce non sentiamo neanche malessere, ma solo un senso di disturbo che annoia abbastanza. E’ sicuramente il punto più basso del disco, nonostante il suo ottimo hook promettesse bene.
12) Superman. Ritorniamo per fortuna ai fasti delle tracce precedenti per la chiusura del disco. “Superman” è una downtempo dal sound minimal ed evocativo, un brano per nulla pretenzioso nel sound né nell’interpretazione e che per questo riesce a dar vita ad un rapporto intimo con l’ascoltatore, il quale si lascia cullare e rassicurare con dolcezza da questa canzone.
La base è appena percettibile in alcuni punti, ed in altri si arricchisce di pochi strumenti o synth che non la movimentano più di tanto, permettendole di raggiungere il cuore dell’ascoltatore senza che ci sia bisogno di un ritornello esplosivo. Anche l’interpretazione di Rachel è funzionale a questo, e l’artista riesce infatti ad emozionarci senza strafare minimamente, concentrandosi sull’arrivare al cuore della gente piuttosto che sull’usare le sue doti.
Mai come in questo caso, base e voce cooperano, ed il livello di emotività raggiunto è talmente alto che qualcuno potrebbe commuoversi ascoltando questa traccia. Ciò lo dobbiamo inoltre anche al testo, nel quale Rachel rassicura l’ascoltatore dicendo che farà di tutto per liberarlo del suo dolore e ricordandogli che “non deve essere Superman”, che la perfezione non esiste e che dunque lui va più che bene così com’è, con i suoi pregi e i suoi difetti. E’ questa la vera erede di “Fight Song”: una canzone che forse non ha la potenza per essere singolo, ma che costituisce la classica perla che deve restare nell’album per impreziosirlo.
Dar vita ad un progetto ricco di stili diversi è un pregio entro certi limiti, ma ad un certo punto può diventare un difetto: in questo album, la voglia di sperimentare sembrava inizialmente un qualcosa di positivo, tuttavia riteniamo che Rachel a tratti si sia spinta troppo in là, toccando generi che non fanno per lei oppure creando brani che presi singolarmente sono ottimi, ma che all’interno del progetto risultano un po’ dei casi a sé stanti (basti pensare, ad esempio, ad “Hey Hey Halllujah”).
Di contro, però, quando resta nel suo universo artistico questa ragazza sa fare grandi cose. In un mondo in cui regna la musica finta, priva di emozione, ci voleva una novellina del mainstream per farci capire che saper emozionare conta ancora. La voce di Rachel sa narrare, sa farci percepire le farfalle nello stomaco e le carezze al cuore e questo, unendosi a buone capacità tecniche ed a produzioni di un certo livello, basta per creare un ottimo album.
Tenendo conto dei pro e dei contro, “Wildfire” risulta un progetto ottimo ma imperfetto. Il livello è sicuramente superiore alla media, per cui va ben oltre la sufficienza, tuttavia riteniamo che Rachel possa offrirci ancora di meglio. E’ per questo che abbiamo deciso di assegnare il seguente voto.