Meghan Trainor aveva tutte le carte in regola per diventare una One hit Wonder. Un aspetto da prima ragazza che trovi per strada, una canzone semplice come “All About That Bass” diventata un inno di un determinato problema (essere in sovrappeso), uno stile musicale non ricercato: tutto sembrava far pensare che la parabola di Meghan fosse destinata ad avere breve durata. Ma così non è stato. E forse è un bene che per una volta qualcuna c’è l’ha fatta nonostante tutti la dessero per sconfitta in partenza. Diverso è invece chiedersi: è giusto che proprio lei ci sia riuscita?
La risposta a questa domanda si può trovare solo in “Title”, LP di debutto di Meghan Trainor pubblicato l’11 gennaio.
In precedenza era stato puublicato un EP, intolato anch’esso “Title” a settembre. I numeri hanno finora dato ragione alla nuova pop-star: oltre 600.000 copie vendute tra gennaio e e febbraio.
“Title” è composto da 11 brani nella standard edition che diventano 15 nella deluxe edition per un totale di appena 45 minuti e 57 secondi. Le canzoni brevi sono infatti la caratteristica di questo CD.
1-The Best Part (Interlude): “But the best part of is You singing always Singing to the world my songs I say singing to the world my songs”. Con una scelta inusuale, Meghan Trainor rivendica il fatto di essere una songwriter e di cantare quindi le sue canzoni. Certamente un bel messaggio per aprire il CD.
2 – All About That Bass: il vero inizio è subito con il botto: la hit “All About That Bass”. Tormentone dal ritornello semplice e le strofe canticchiabili. La canzone è pop ma con tantissime influenze in particolare un clima doo-wop anni 60′. Il tema dell’essere sovvrappeso, unito al video, non ha fatto altro che incrementare la viralità di questo brano.
Un brano che come tutte le hit “sempliciotte” divide tra chi lo apprezza e chi lo odia. Possiamo dire però che il grande successo radiofonico del pezzo ha finito per farlo odiare persino da chi lo apprezzava e lo ha fatto canticchiare da chi lo odiava. Resta da vedere tra qualche anno, quante persone si ricorderanno ancora di “All About That Bass”.
3 – Dear Future Husband: appartenente anche all’EP “Title”, “Dear Future Husband” è il terzo singolo dell’album. Già dopo l’uscita dell’EP è riuscita a farsi notare nelle classifiche anche senza alcun tipo di promozione tanto da ottenere la certificazione Gold negli USA.
Siamo sempre nel pop accattivante quanto a rischio banalità. Non si perde neanche in questo caso l’atmosfera retrò del precedente brano, abbiamo qui un connubio particolare di batteria, chitarra acustica, pianoforte, trombe. Ma in questi mesi la canzone si è fatta notare per un altro motivo: la somiglianza a “Dancing With Me Tonight” di Olly Murs. Somiglianza davvero evidente e ve ne darà prova il prossimo video.
4-Close Your Eyes: l’ukulele, cioè la piccola chitarra con cui spesso canta live, ci introduce in un altro brano appartenente all’EP “Title”, la quarta traccia “Close Your Eyes”, si tratta infatti di una slow-dance track che quindi rallenta il ritmo rispetto ai brani precedenti.
Questa “Close Your Eyes” appare anch’essa come qualcosa di già sentito ed inoltre la sua semplicità la rende un po’piatta e veramente poco appetibile.
5- 3 am: filastrocca time! 3 am è la classica canzone da non ascoltare se non si vuole avere per la testa un motivetto quanto semplice tanto incisivo. Al di là della apparente banalità, tra archi e percussioni in sottofndo, la canzone rappresenta una sorta di confessione da parte della cantante per la difficoltà di superare la fine di un amore:
” Non posso credere che lo sto ancora facendo, mi sono detta un mese fa che sarebbe finito ma Sto guardando il mio telefono, chiedendomi se sei a casa……E ragazzo non riesco a toglierti dalla mia testa Non posso farne a meno, non posso fare a me stesso”.
6-Like I’m Gonna Lose You: eccoci al duetto con John Legend in “Like I’m Gonna Lose You”. Originariamente la canzone era cantata dalla sola Meghan che poi, dopo essersi fatta un nome nel musicbiz con “All About That Bass”, ha pensato bene di chiedere di duettare con John.
E la scelta è indubbiamente ottima. La sublime voce di John Legend rende ancora più brillante un brano di per sè forte. Una base di chitarre e violini incisiva ma non invasiva, due voci che al meglio interpretano un brano d’amore. Merita di essere singolo perchè rappresenta l’apice qualitativo del CD.
7- Bang Dem Sticks: il ritmo torna a farsi frizzante con “Bang Dem sticks”. Qui possiamo notare una caratteristica aggiuntiva che ritroveremo anche in successivi brani: l’influenza rap. Meghan dimostra di sapere maneggiare bene questa influenza senza cadere nel rischio di sciommittare una rapper vera.
8- Walkashame: si rimane sulla stessa lunghezza d’onda con “Walkshame”.Si inizia a rischiare l’assuefazione a sentire brani del genere. Lo stile e la struttura del brano ricalca vari brani precedenti. L’effetto finale sull’ascoltatore risulta quindi meno riuscito. Va detto che sia “Walkashame” che “Bang Dem Sticks” sono molto penalizzate dalla durata di appena 3 minuti.
9- Title: la “Title” track, di nome e di fatto, è un uptempo di neanche 3 minuti. Nella confezione pop del brano possiamo comunque trovare delle influenze folk donate da strumenti come il corno e l’ukulele. Grazie a ciò, “Title”apparentemente simile a molti dei precedenti brani , assume contorni decisamente più ricercati che comunque riescono a ben adattarsi al ritmo incalzante del brano e ad il testo piccato con cui Meghan si rivolge ad un ragazzo
“Baby, don’t call me your friend If I hear that word again You might never get a chance to see me naked in your bed And I know girls ain’t hard to find But if you think you wanna try Then consider this an invitation to kiss my ass goodbye “.
Non mi stupisce che il brano sia riuscito ad ottenere successo anche senza nessun tipo di promozione.
10- What If I: si arriva quindi alla decima traccia, la ballad “What If I”. Un calo del ritmo era senz’altro necessario dopo gli energici pezzi precedenti. Questo brano sembra essere stato tirato fuori dagli anni 50′ per via della atmosfere evanescenti e un arragiamento retro’. In definitiva un brano positivo ma non esaltante.
11-Lips Are Movin’: Dopo aver visto la somiglianza da plagio tra “Dear Future Husband” e “Dance With Me Tonight”, arriviamo al più sfacciato plagio, anzi auto-plagio: “Lips Are Movin” sosia legittima di “All About That Bass”. Sarebbe interessante quando è stato scritto il pezzo: se prima o dopo l’ascesa al successo di “All About That Bass”.
I due brani sono strutturati ugalmente: post chorus – strofa ‘lunga’ – chorus e post chorus – strofa ‘breve’ – chorus a ripetizione. L’unica vera differenza rilevante sono le strofe che tendono a una specie di rap in “Lips Are Movin'” Non avrei scommesso un centesimo sul successo che il brano ha avuto. Forse però non c’è da stupirsi: è già capitato che artiste nei primi anni di carriera abbiano presentato brani simili o vagamente simili ottenendo successo con entrambi. Qualche esempio: Lady Gaga (“Just Dance” e “Poker Face”), Britney Spears (“Baby One More Time”, Oops…I Did It Again”), Nicki Minaj (“SuperBass” e “Vavavoom”).
12-No Good For You: inizialmente”No Good Gor You” può sembrare una ballad, ma invece si rivela un’altra uptempo. Musicalmente troviamo chitarre, trombe ed altro. Il testo segna una deviazione rispetto ai precedenti. In questo caso Meghan assume le vesti di una ragazza che sconsiglia alla sua amica di lasciare un ragazzo non adatto a lei …….si arriva a scoprire che il ragazzo ha proposto un appuntamento alla stessa Meghan e da qui nasce il consiglio alla sua amica di lasciarlo subito. Chissà se è un testo che è nasce da un episodio vissuto realmente dalla cantante.
13- Mr Almost (ft Shy Carter): arriviamo all’altro duetto dell’album “Mr Almost” con Shy Carter. Siamo di fronte ad un brano pop semplice ed orecchiabile. Forse troppo semplice e breve per farsi notare: è un po’ la ‘sindrome’ di molti brani di questo album: li ascolti ti possono piacere o no ma dopo 5 minuti li hai rimossi del tutto dalla mente. In questo caso anche il bridge rap di Shy Carter scivola via senza colpo ferire.
14- My Selfish Heart: i background vocals ci introducono nella 14esima traccia “My Selfish Heart”, la migliore tra le tracce della deluxe. Meghan alterna una tendenza ancora retrò, con un ritornello più ritmato e un post-chorus più energico. Infine arriva anche qui il suo momento da rapper nel bridge. Per quanto riguarda il testo, la cantante parla del proprio cuore egoista e di come “Quando ho detto addio non ero pronto, no no Ma non voglio sprecare il tuo tempo No, ti meriti di trovare l’amore della tua vita, Un giorno sposerai una splendida moglie.”
15- Credit: si conclude l’album deluxe con “Credit”. Il sound non si distingue molto dalle precedenti. Un brano che senza infamia e senza lode come tanti nel CD.
Meghan Trainor ha due pregi. Il primo è di essersi finora contraddistinta dalle altre pop-stars anche solo con piccoli atteggiamenti e comportamenti.
Si è costruita così un’immagine abbastanza definita per una che è nel musicbiz da 8 mesi. Il secondo pregio è che non è megalomane. Sa di non essere la migliore cantante in circolazione, perciò fa quello che sa fare e non fa quello che non sa fare, il tutto senza prendersi troppo sul serio. “Title” è così.
Un album che non si pone nessun obiettivo speciale se non quello di non far cadere in un cono d”ombra la carriera della cantante. Da questa visuale, “Title” supera la prova di debut album. D’altra parte però non si possono negare tanti difetti: dalla ridondanza dei brani alle troppe scopiazzature. Ma più che difetti, sono i limiti di un album senza pretese.
E voi avete asoltato “Title”? Vi è piaciuto? Fatecelo sapere nei commenti!